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Mag 16, 2016

Io ciao, tu bau!

Capirsi anche quando si parlano due linguaggi diversi (il coaching applicato all’educazione cinofila)

Durante il mio master in coaching, ho voluto sperimentare in quanti ambiti esso poteva essere applicato, spingendomi addirittura a utilizzarlo con grande successo nella mia quotidiana attività di educatore cinofilo. Attraverso il processo e le caratteristiche tipiche di un’efficace relazione di coaching, ho potuto osservare come anche tra esseri viventi di due specie diverse (uomo – cane) che parlano due linguaggi talvolta completamente differenti, si possa arrivare ad una comprensione l’uno dell’altro.

Ho pertanto condotto un esperimento che è consistito nel coinvolgere due persone, accumunate dalla scarsa confidenza e dimestichezza con i cani, ma entrambe animate (per ragioni diverse) dal desiderio di superare timori e diffidenze. Poste dinnanzi all’animale l’obiettivo era riuscire ad avvicinarlo e magari anche accarezzarlo, cosa piuttosto difficile se si ha paura o poca esperienza.

In questo tipo di relazione emerge in maniera forte, chiara ed univoca quanto l’aspetto relazionale della comunicazione analogica (non verbale – gestuale) sia decisamente molto più importante rispetto al messaggio stesso.

Durante il mio esperimento ho lasciato che i due partecipanti coinvolti, si sentissero liberi di agire, ma li ho guidati rassicurandoli e chiedendo loro come si sentissero e quale fosse la prima mossa che si sentissero di poter fare. Il primo dei due, è stato talmente accogliente, senza filtri e pregiudizi che è riuscito ad avere un’immediata sintonia col cane. Questo primo risultato mi ha subito dimostrato in maniera forte quanto l’atteggiamento, il modo di porsi in una relazione e il mettersi in ascolto dell’altro (chiunque sia), siano aspetti fondamentali per approcciarsi in maniera serena ed efficace. Egli si è messo in una posizione di parità col cane accovacciandosi per terra, mossa che ha ben disposto l’animale e gli ha permesso di leggere fin da subito una postura di accoglienza. La persona coinvolta non era completamente a suo agio, ma anche questo aspetto ha aiutato la loro relazione poiché gli ha consentito di non fare qualche passo azzardato che avrebbe potuto compromettere il rapporto, spaventare il cane e allontanarlo. Una carezza data prematuramente, infatti, rischierebbe di destabilizzare il cane perchè, al contrario di quello che è credenza comune, non ama essere toccato soprattutto sulla testa.

Incoraggiato dai risultati ci ha riprovato, ma questa volta qualcosa nella relazione non ha funzionato più. Il cane era distratto da altro e si era messo ad annusare per terra. Tutto quello che metteva in atto il coachee che prima riusciva facilmente ad attirare la sua attenzione ora non bastava più. Lo chiamava, si accovacciava, cercava di toccarlo,… ma tutte queste azioni non riuscivano più a ricreare il legame del primo approccio. Sono intervenuta io a questo punto io ed è seguita una vera propria sessione di coaching durante la quale ho posto domande, dato restituzioni e attraverso i silenzi gli ho lasciato il tempo di ragionare.

A questo punto dopo attenta riflessione, egli ha iniziato a provare tecniche diverse come muoversi intorno al cane, fare dei lievi rumori, chiamarlo solo quando il livello di attenzione verso la distrazione che era intervenuta era meno magnetica e totalizzante,… tutte azioni decisamente molto corrette alle quali è arrivato totalmente da solo e che infatti l’hanno avvicinato all’obiettivo.

CONCLUSIONE: il cane viene di nuovo incuriosito dal partecipante e si è riavvicinato con gioia, si è lasciato toccare e si è dimostrato contento di andargli incontro. Anche lo stesso coachee nel frattempo sembrava molto più sereno e a suo agio, lo toccava più facilmente e con maggiore naturalezza. Si sentiva inoltre soddisfatto e felice.

Il secondo partecipante, al contrario del primo, ha avuto un inizio più difficoltoso. Non si è creata un’immediata alchimia e questo atteggiamento del cane mi ha fatto riflettere su quanto tutte le relazioni siano diverse, uniche e speciali, ma anche difficili e delicate. Sembrerà paradossale ma in realtà ciò che ha reso l’approccio un po’ più complesso è stato l’eccesso di sicurezza da parte di questa seconda persona coinvolta di poter facilmente avvicinare l’animale e la fretta nel farlo. Il coachee si è quindi fermato e a questo punto l’ho invitato a riflettere su quello che stava accadendo e sono entrata nel vivo della sessione di coaching.

Ho invitato la persona attraverso diverse e specifiche domande all’osservazione del proprio comportamento e soprattutto delle reazioni suscitate nel cane.

Il risultato è stato che egli si è preso del tempo, mettendosi in ascolto del cane, osservando le sue reazioni e cercando di comprenderle. Il cane ci ha messo qualche istante a calmarsi ma pian pianino si è lasciato avvicinare. Il salto di qualità di questa fase della relazione è stato che l’attore non ha forzato la mano cercando di toccarlo, è rimasto immobile e in silenzio e ha permesso che il cane si prendesse il suo tempo

CONCLUSIONE: E’ il cane stesso che lo cerca e gli va incontro scodinzolando felice, tranquillo e sicuro. Si è finalmente instaurata una sana e serena relazione. Anche l’attore si è dichiarato molto soddisfatto del percorso svolto e di come è arrivato alla soluzione del problema.

Ciò che ho voluto dimostrare è quanto le caratteristiche della relazione facilitante possano essere d’aiuto nella vita di tutti giorni anche nell’interpretare linguaggi a noi sconosciuti e quanto il coaching possa essere di supporto in tutte quelle situazioni in cui si fa più fatica a arrivare al proprio obiettivo da soli.

Micol Vago