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Giu 14, 2016

La maternità e le sue competenze sul posto di lavoro

Spesso con l’arrivo dei bimbi molte di voi si sono organizzate in nuovi modi, alcune buttandosi a capofitto in nuove esperienze e in nuove avventure, non senza mille perplessità e anche sensi di colpa…

Be’, in effetti, quello che si nota con la maternità, molto spesso è la capacità di noi donne di prendere il “toro per corna” e di cercare di sviluppare nuove competenze. Anche se può suonare poco credibile, in Italia si sta iniziando a vedere il “mondo mamma” anche come un’opportunità: un trampolino di lancio anche per la carriera lavorativa.

Sempre più iniziative per la parità di genere presentano la maternità come opportunità per sviluppare competenze da spendere sul posto di lavoro. Le aziende in Italia rilevano davvero queste potenzialità nuove delle mamme? Vale per tutte? Cosa succede nella realtà? A questo proposito mi sembrava interessante riproporre un intervento del collega, Paolo Lanciani, già protagonista tra i video dei papà, e chiedere di esprimere il suo punto di vista, quello di uomo, di padre e di psicologo del lavoro.

Vi lascio anche un interessante contributo che potrà sicuramente far riflettere: Riccarda Zezza, “Maternità e lavoro femminile – Stereotipi e nuovi paradigmi”.

Riccarda Zezza è attualmente A.D. di ARG, startup innovativa che sviluppa prodotti per la crescita e valorizzazione del capitale umano e ha ideato MAAM:  maternityasamaster.com/team

Paolo qual è il tuo pensiero su questo tema?

Si tratta di un tema importante e complesso sul quale un solo punto di vista rischia di essere riduttivo; provo quindi a darne più di uno, a partire dai diversi ruoli della mia vita.

Parto dal doppio ruolo di padre e marito. Se osservo Silvia, mia moglie, non posso che confermarlo. La sua capacità di organizzare e di gestire in modo pragmatico ed efficace la routine quotidiana, come anche i continui imprevisti e cambi di programma, è invidiabile. Inoltre mi colpisce il senso di responsabilità e la capacità di gestire il quotidiano pensando al futuro. Non so se queste competenze fossero latenti prima della nascita di Martino, o se si siano sviluppate ad hoc, certo è che in casa le mette in campo molto bene.

Se penso al tema dal punto di vista dello psicologo del lavoro, il discorso è più complesso. So di dire una cosa impopolare, ma non è scontato che una mamma riesca o voglia portare le proprie competenze sul lavoro.

Rispetto al riuscire, non è detto che le capacità messe in campo a casa, siano realmente competenze. Qui vale la pena esplicitare una distinzione: per capacità intendo l´abilità di riuscire a svolgere un determinato compito in uno specifico contesto; per competenza intento la capacità di svolgere attività analoghe in contesti diversi. In concreto, il fatto di riuscire a organizzare la spesa per casa, non si traduce automaticamente nella competenza di gestire un ufficio acquisti. “Ma come? In fondo a casa devo gestire tutto in autonomia e organizzarmi rispetto a mille altre attività, mentre in azienda ho a disposizione processi, budget, team…?” È proprio questo il punto: l´organizzazione è un sistema complesso dove non conta solo la competenza individuale, ma la capacità di agire in interdipendenza con le altre persone e funzioni. Quando svolgo degli assessment – diagnosi sulle competenze manageriali di un candidato- molto spesso le aree di miglioramento, a prescindere dal sesso della o del candidata/o, sono proprio legate a questi aspetti.

Rispetto al volere, la motivazione è un motore essenziale per essere efficaci ed esprimere a pieno il proprio potenziale. Avere consapevolezza di quale ruolo giochi nella propria vita l´attività professionale è determinante. Sta alla singola persona chiarirsi e condividere esplicitamente quale sia il proprio investimento. Credo che questo tema sia spesso sottovalutato, anche al di la della questione di genere. Troppo spesso si vive nel mito di una crescita di carriera verticale, a prescindere dalle reali inclinazioni e motivazioni. Come se voler essere un buon professionista, fosse una colpa, e questo vale anche, e forse soprattutto, per gli uomini.

Credo quindi che la sfida per le professioniste che rientrano dalla maternità, sia quella di prendere consapevolezza delle competenze sviluppate o rinforzate, ma anche di ricontestualizzarle e combinarle con la capacità di impiegarle nel complesso sistema organizzazione.

Infine, ma non meno importante, penso all´uomo. E qui il protagonista diventa un altro, ovvero chi resta in azienda e ri-accoglie, o meno, chi rientra dalla maternità. Un’azienda che non sappia riconoscere il valore aggiunto che una neomamma porta all´azienda e che si concentri solo sugli apparenti o reali svantaggi, non solo non riuscirà a valorizzare la persona e le sue competenze, ma anzi la sottoimpiegherà, con i relativi costi. Qui la responsabilità degli uomini è centrale! Il rischio di trattare le colleghe secondo pregiudizi o preconcetti è altissimo. E più la discriminazione è involontaria o inconsapevole, più è pericolosa. Pensate a chi non propone un determinato incarico a una collega perché ritiene, senza chiedere, che possa essere troppo faticoso o impegnativo per una mamma… Spesso poi, sono persino le donne, non mamme, a vivere la maternità delle colleghe e collaboratrici come un ostacolo piuttosto che un´opportunità. Insomma qui il tema è culturale e va affrontato sia a livello di assunzione di responsabilità individuale, sia a livello organizzativo con un impegno strategico da parte del top-management. Questo non per bontà d´animo, ma per interesse economico, perché una persona che esprima a pieno il proprio potenziale è generatrice di profitto.

In sintesi, considero la maternità una splendida opportunità, che però va saputa accogliere, sia dalla mamma in prima persona, sia dal contesto organizzativo.

PAOLO LANCIANIwww.dlm-partners.eu