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Set 27, 2016

Sogno o son desto?

Sogno o son desto? Implicazioni psicologiche e sociali del mondo virtuale

“Chi può dire davvero se lui sia morto o se si sta semplicemente godendo il suo mondo di fantasia?” (Tim Burton, 1995)

Questo articolo si prefigge lo scopo di fornire unicamente degli spunti di riflessione, riportando sinteticamente alcuni contributi scientifici sull’argomento del gioco virtuale e del gioco d’azzardo. Come in ogni cosa, infatti, ritengo che l’importante sia l’informazione corretta e l’uso consapevole di ciò che si utilizza e che la verità risieda nel “giusto mezzo”.

Il fenomeno del gioco virtuale patologico, è tanto più preoccupante quanto più si abbassa l’età media dei fruitori: le statistiche dicono già a partire dai 3-5 anni.
A mio avviso più è precoce l’utilizzo di certi dispositivi, più bisogna interrogarsi, come genitori, educatori, ricercatori etc. circa i possibili effetti, sulla crescita personale e sociale individuali. La tipologia di giochi in commercio varia notevolmente, e non vi sono sempre e solo recriminazioni da muovere a riguardo.
L’aspetto da sempre esaminato su questa materia, è rappresentato dal rapporto esistente tra violenza-aggressività e utilizzo dei videogames da parte dei ragazzi. Molte ricerche riportano una correlazione significativa tra utilizzo di giochi violenti e aumento dell’aggressività, sebbene non sia ancora del tutto chiarito il fattore causale. Verosimilmente fattori come una quota elevata di immersività, l’identificazione con il personaggio del gioco, la ricompensa di comportamenti violenti (laddove presente), possono elicitare l’adozione di risposte aggressive.
Giocare a videogiochi violenti, secondo una ricerca americana (Kirsh et al., 2007) ridurrebbe i tempi di riconoscimento delle espressioni facciali felici, indicando una diminuzione delle abilità empatiche. Ovviamente non stiamo parlando di effetti determinati da una singola esposizione. A mio avviso cruciali sono i fattori di rischio individuali, le caratteristiche di personalità, i modi del gioco (ad es. il gioco impiegato sistematicamente come risposta per alleviare o anestetizzare emozioni negative, vissute magari in relazione al contatto con gli altri) unitamente ai tempi di esposizione.

Cosa fa si che molti ragazzi oggi preferiscano un videogioco ad un libro? Sicuramente il coinvolgimento emotivo dettato dall’interattività tipica dei videogiochi, dal ruolo per certi versi maggiormente attivo del soggetto e dall’imediatezza del feedback, che sostiene elevate e prolungate risposte emotive.
Qual’è la differenza tra videogioco e gioco d’azzardo? Come osservato da Del Miglio et al., 2006 nel gioco d’azzardo (es. slot machine, VLT, roulette, poker online, etc.) il rinforzo al gioco è rappresentato per lo più dalla vincita in denaro, mentre nei videogiochi sembra esserci sia l’autogratificazione e l’eccitazione per una vincita (motivazione intrinseca), sia la stima degli altri giocatori e il senso di appartenenza ad un gruppo in cui si riveste un determinato ruolo (motivazione estrinseca), come nel caso dei MMORPG, di cui diremo più avanti.
Un altro fattore “additivo” è sicuramente determinato dalla durata temporale del gioco, potenzialmente infinita. Molti giochi richiedono infatti una presenza attiva e costante, che implica collegamenti alla rete frequenti e prolungati, determinando la sensazione nel giocatore che, per non perdere i traguardi raggiunti, non si possa interrompere il gioco per troppo tempo.

Nel corso dell’attività clinica ospedaliera come neuropsicologa, mi è stato inviato per una valutazione cognitiva (indagine volta a misurare le abilità mnemoniche, attentive, etc.) un ragazzo di 26 anni (G.), con sospetta dipendenza da gioco e affetto da obesità. G., in assenza di un ritardo mentale, ha conseguito con fatica la licenza di scuola superiore, è disoccupato e vive con i genitori. Riferisce difficoltà relazionali con i coetanei nel contesto di ricovero, pertanto preferisce starsene in camera per conto suo. Mi racconta che a casa gli interessi principali sono: uscire con gli amici, giocare a calcio, ma soprattutto i videogiochi. Minimizza il problema del sovrappeso, anzi sembra proprio non riconoscerlo, riferendo di non sapersene spiegare le ragioni.
Mi ha particolarmente incuriosito il suo atteggiamento durante l’esame, dimesso, collaborante, concentrato, ma particolarmente preoccupato di aver saltato delle pagine o delle risposte durante l’esecuzione delle prove. Richiedeva spesso conferma di non aver omesso nulla e tornava a sfogliare le pagine precedenti per controllare. I risultati del test hanno evidenziato deficit mnesici a lungo termine, di fluenza verbale e di attenzione divisa, poco spiegabili in un paziente così giovane, senza una anamnesi neurologica specifica.
Difficile dire se l’uso intensivo di videogiochi possa spiegare un simile quadro, probabilmente di origine multifattoriale. Sono tuttavia certamente individuabili alcuni fattori di rischio, meritevoli di un approfondimento a più livelli.

Di fatto alcune ricerche americane sottolineano che l’utilizzo di giochi per pc (es. giochi strategici come gli scacchi), possono stimolare le abilità attentive, la reattività, nonché alcune abilità esecutivo-frontali, aiutando a prevenire l’atrofia cerebrale. Altri studiosi ritengono che fare una pausa di alcuni minuti giocando ai games durante lo studio, faciliti l’apprendimento, in particolare in domini quali quello matematico. Altri ancora ritengono che la possibilità di “incanalare” in un videogioco alcuni impulsi, abbia un effetto catartico.
L’impiego di giochi virtuali può essere applicato efficacemente nell’ambito della psicologia della salute e nello sport. Sono stati ad esempio utilizzati giochi interattivi che implicano movimento fisico in bambini sovrappeso, o nella simulazione di prestazioni motorie pre-gara. In USA è stata provata l’utilità di un videogioco interattivo in un gruppo di ragazzi affetti da anemia mediterranea. E’ stato rilevato un incremento delle conoscenze circa la propria malattia ed una maggiore capacità di utilizzo di queste conoscenze nella gestione della stessa (Yoon et al., 2007).

Nel mondo dei videogiochi online, molto apprezzati sono quelli che offrono una cosiddetta componente multiplayer, ossia che comportano possibilità di confronto tra i giocatori (es. World of Warcraft, Call of Duty, etc.). La possibilità di collaborare con gli altri giocatori nell’individuare la giusta tattica e nel metterla in pratica per raggiungere un obiettivo comune, risulta sicuramente un aspetto peculiare. Anche la competizione è un aspetto naturalmente presente nelle relazioni umane. Ciò che può divenire rischioso è il modo di esercitarla in un contesto “non naturale” come quello dei videogiochi se non impiegati correttamente.

In ogni MMORPG (Massive(ly) Multiplayer Online Role-Playing Game) i giocatori sono spesso organizzata in “clan” o in “gilde” favorendo quindi il gioco di gruppo ed il senso di appartenenza. Questo può favorire la creazione di legami a lungo termine, anche al di fuori del gioco. Può capitare che a un certo punto si decida di rompere la barriera virtuale organizzando raduni in cui i “gildani” da tutta Italia e alle volte dal mondo, si riuniscono, per parlare e condividere il “game” ma anche il “real”. L’appartenenza al gruppo, può portare anche alla decisione di traferirsi in massa su un altro gioco. Ciò implica la costruzione di un ruolo all’interno della propria comunità e l’essere chiamati a partecipare attivamente alla vita della stessa.
La costruzione di rapporti sociali estesi grazie alla rete, rappresenta per alcuni giocatori il vero fulcro di interesse piuttosto che il gioco in sé.
I MMORPGs sono infatti essenzialmente dei giochi di reputazione, che permettono al giocatore di guadagnare uno status, una reputazione e una fama, il tutto garantito dalla presenza di altri giocatori (detti audience).

Per alcuni individui che soffrono di “Ansia Sociale” costruire relazioni online, può essere un modo per fuggire le relazioni dirette e/o arginare il timore di essere giudicati negativamente e sentirsi imbarazzati in contesti di esposizione pubblica. Nel gioco infatti, si può assumere un’altra identità e interagire in modo anonimo. L’acuirsi del problema o il favorirne la risoluzione mediante i videogames, come sempre, dipende dal modo in cui se ne indirizza l’utilizzo e dalla presenza o meno di un esperto che aiuti la persona a far fronte in modo efficace alle proprie difficoltà interpersonali.

E’ noto che il substrato neurale dei modi patologici del gioco, ha a che fare con il cosiddetto circuito della “ricompensa-punizione”. Diversi studi mostrano che il funzionamento neuropsicologico dei giocatori patologici, esaminato attraverso la valutazione cognitiva, è simile a quello di soggetti con danno neurologico del lobo frontale e con disturbi da uso di droghe. Questi studi suggeriscono per i gamblers (giocatori d’azzardo) una compromissione dei processi decisionali, che li porta a trascurare o ignorare le conseguenze negative della ricompensa immediata (ottenuta attraverso il gioco d’azzardo), e che li porta a sopravvalutare le reali possibilità di vincita a causa di credenze erronee, (Conversano C. et al., 2012). Analogamente la velocità della risposta nel videogioco, può attivare in maniera elevata e prolungata le emozioni connesse al sopraccitato circuito. Se i videogiochi divengono la fonte primaria di gratificazione sopperendo qualche bisogno che non si riesce a soddisfare diversamente, nella “vita reale”, è possibile che diano vita ad un tipo di dipendenza simile a quella delle sostanze stupefacenti, all’alcool, al sesso. Alcune persone ad esempio trovano nel cibo la valvola di sfogo di un certo malessere e compiono vere e proprie abbuffate nei momenti critici, in risposta a stati emotivi di difficile gestione (es. rabbia, tristezza, etc.). L’abbuffata di videogiochi potrebbe avere una analoga una funzione compensatoria per alcuni individui.

Non reputo particolarmente salutare esercitare troppo a lungo alcune forme di competizione solitaria, bensì ritengo utile che i ragazzi abbiano sempre la possibilità di confrontarsi su un terreno comune, utilizzando le proprie e concrete abilità fisiche, intellettive e sociali, imparando a fare i conti con la frustrazione legata ad una eventuale sconfitta. La sconfitta nel gioco virtuale è sempre filtrata e quindi in un certo modo attenuata. Inoltre a una sconfitta può seguire la creazione di un nuovo personaggio, in un altro scenario; il fallimento quindi non è mai del tutto irreversibile.
Un’alternativa è rappresentata dal laser-game. In questa tipologia di giochi i partecipanti sono dotati di corpetto e fucile laser per combattere un avversario reale. La squadra A ad esempio, deve raggiungere la base nemica B, conquistandola quante più volte possibile in un tempo prestabilito, colpendo ogni avversario ed evitando il fuoco nemico. Il tutto all’interno di un oscuro labirinto cercando di segnare più punti possibili, individuali e di squadra. Gli effetti speciali, nel lasergame, garantiscono immersività, realismo e quindi divertimento. Strategia, gioco di squadra, intuito, abilità di cooperazione per raggiungere un obiettivo comune sono le chiavi del successo di questo gioco.

La costruzione di scenari virtuali è stata ampiamente utilizzata non solo a scopo ludico, ma anche a scopo riabilitativo. La “realtà virtuale” (VR) con caschetti, visiere e joystick appositamente costruiti, viene da anni utilizzata nell’ambito della riabilitazione delle funzioni cognitive (memoria, attenzione, problem-solving, etc.), ad esempio in pazienti che hanno subito lesioni cerebrali da incidenti della strada (trauma cranio-encefalico). L’immersività ancora una volta è la chiave dell’efficacia di queste metodiche. I programmi di riabilitazione in realtà virtuale si basano sull’esecuzione di attività motorie e cognitive, con diversi livelli di difficoltà, “immersi” appunto in un ambiente virtuale, che simula in modo estremamente realistico e interattivo situazioni e contesti di vita quotidiana. Questa tecnica permette la riabilitazione di molteplici domini cognitivi e motori consentendo all’utente di sviluppare gradi crescenti di autonomia. Abilità che una volta ri-acquisite, possono essere generalizzate e traferite al contesto di vita reale. Tale tecnologia ha contribuito a colmare il gap esistente tra le richieste ambientali della vita di tutti i giorni e le capacità richieste per la soluzione dei compiti nei test non-immersivi di laboratorio, ad esempio nella riabilitazione dei disturbi spaziali.

Tale caratteristica è sfruttabile anche in contesto sportivo per migliorare la performance, aumentando le abilità di monitoraggio della propria prestazione e le abilità di visualizzazione pre-gara.
Simulatori aerei vengono impiegati per affrontare la paura del volo, altre tipologie di “Serious Game” per facilitare la gestione di varie forme di ansia, insegnare a parlare in pubblico, etc. attraverso esercizi di respirazione: una sorta di meditazione guidata. In questo caso l’immersione in una realtà virtuale, isolata dal mondo esterno, può favorire un certo “di stanziamento” dalla fonte ansiogena, che può risultare più avvicinabile in quanto meno temibile. Ecco quindi come, ancora una volta, non si possa parlare di un beneficio o un pericolo in assoluto. Anche la migliore delle intenzioni può trasformarsi in qualcosa di negativo se non indirizzata correttamente, così come un farmaco salvavita può tramutarsi in un veleno mortale se usato impropriamente.

Una nuova frontiera, infine, è rappresentata dal Neuro Ski, un apparecchiatura in grado di leggere le onde cerebrali, senza impiego di dispositivi di interazione manuale di nessun genere, bensì solo impiegando un sensore che interpreta alcuni particolari tipi di onde cerebrali (Alfa e Beta) e le associa ad alcuni movimenti semplici. Si possono facilmente intuire le possibili ricadute in termini funzionali per patologie neurodegenerative come la Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA).

In conclusione, non essendo possibile stilare una classifica dei videogiochi che tenga conto del loro potenziale additivo, sarebbe opportuno stimolare le capacità critiche e di espressione emotiva dei ragazzi nei contesti educativi e formativi in cui trascorrono la maggior parte del loro tempo. Si possono altresì regolamentare i tempi e gli spazi dedicati all’utilizzo dei videogiochi, evitando una fruizione solitaria e prolungata nel tempo e osservare l’eventuale insorgenza di comportamenti insoliti o problematici, sia in ambito scolastico-professionale, sia in ambito socio-relazionale, che possono configurarsi come importanti indicatori di rischio. Non occorre una vigilanza serrata e limitante, bensì l’assunzione di un atteggiamento consapevolmente attento e informato, finalizzato alla prevenzione e all’intervento tempestivo laddove indicato, ricorrendo anche all’aiuto di professionisti qualificati.

Alessandra Daniele